We are monsters, and we are stars.


Gaga concert 2010 08th May – Stockholm, Globen Arena.


Sono qui per lasciare la mia testimonianza.
Ho partecipato (e sono sopravvissuto) ad un concerto del primo tour (secondo, se consideriamo il ‘Fame Ball Tour’) di Lady Gaga, sconosciuta artista Statunitanse di origine Italiana.

Ero molto curioso di poter finalmente guardare direttamente negli occhi il fenomeno che ha cavalcato l’industria discografica negli ultimi 2 anni, collezionando un’inaspettata quantitá di Grammy e di altri prestigiosi riconoscimenti. Ricordo come al nome di Lady Gaga tutti avessero qualcosa da dire, pur non sapendo assolutamente come fosse il suo viso. Sempre ditro a qualche occhiale glitterato, trucco pesante, impalcature metalliche.

L’intera performance non é un canonico concerto.
Cosí come spiegato dall’artista in un’intervista ad una radio Londinese nel Dicembre del 2009, il ‘Monster Ball Tour’ é ideato nel tentativo di riproporre una vera e propria opera teatrale. A mio avviso, il prodotto finale é una via del mezzo tra un musical ed un’operetta gotica. Ci sono molte parti parlate. Lady Gaga si rivolge moltissimo al pubblico, pone domande, e pretende risposte. In numerose occasioni si pone proprio ad un livello comparabile a quello di insegnante nei confronti dei propri allievi.
In breve, la storia racconta di un viaggio che l’artista si vede costretta a fare per poter scovare la sua ‘preda’ (che verrá svelata solo alla fine del concerto), affrontarla, ed eventualmente sconfiggerla. O forse, invece, abbracciarla, copulare e consacrare
con essa un patto di non belligeranza: Lady Gaga ed il ‘Monster’ sono due concetti distanti, che devono confluire nello stesso Essere al fine di ottenere il mezzo necessario all’artista per raggiungere il suo scopo: liberarci.

Sebbene la trama si presenti non semplicissima da capire, lo scopo del Monster Ball Tour viene chiarito sin da subito: alla domanda di uno dei suoi ballerini, che in  quel momento incarna la societá intera, su COSA SIA il Monster Ball Tour, Gaga risponde: "The Monster Ball comes to set you free". Alla successiva domanda "Why do we need to be set free?" Gaga si limita a ripetere la precedente risposta, aggiungendo che il Monster Ball "has been created to give to my fans a place to go".

Tra i dialoghi che fanno capire cosa ci sia dietro il fenomeno di Lady Gaga, ricordo quello mentre é seduta al piano (prima metá del concerto): Gaga mostra il dito medio e lo indirizza a "everybody who has been saying from years that I was not skinny enough, ain’t write songs enough, ain’t voice enough, ain’t good-looking enough… FUCK YOU! I can tell’em now: I am a star! As well as all of you!".
Ancora, tra i piú importanti, Lady Gaga agonizzante sulla scena e chiede al proprio pubblico se vuole che lei muoia: "
Do you want me to
die? Do you want me to die? So screem it! Screem that you want me
alive". In questo elaborato gesto di autocelebrazione, viene lanciato il messaggio di come Gaga si consideri molto legata ai
suoi fans, un legame di vita o di morte, e che l’unica ragione per cui sta affrontando tutto
questo, é solo per loro. Perché, di nuovo, lei é venuta a liberare il mondo
dalle sue presunte catene.

Riporto inoltre quello che io ho interpretato come una specie di "poesia" recitata in playback mentre l’artista si cambia d’abito, in cui essa invita i suoi seguaci (‘followers’) a preferire la menzogna alla veritá, e a considerare la libertá sessuale come IL punto di partenza necessario a raggiungere l’armonia civile.
Tra la simbologia piú eccitante, molti riferimenti all’horror-rock di Michael Jackson e di
Hitchcock;
vestiti e movenze in riferimento alla mitologia egizia, e la scena in cui Gaga si abbevera alla ‘fonte dell’eternitá’ (‘ethernity spring’, da cui sgorga acqua rossa) per sopravvivere alle ferite subite durante il suo viaggio.

Il concerto si chiude
con Bad Romance, canzone che lega la prima versione dell’album "Fame"
alla seconda "The Fame Monster", che é un po’ la chiave del pensiero
artistico di Lady Gaga di questo periodo.

Ora posso ammettere, che il concerto merita di essere visto. Con numerose riserve.
É un enorme sforzo coreografico e scenico, in cui Lady Gaga pretende sempre di essere posta in primo piano, anche a costo di sacrificare i tempi (interruzioni tra le canzoni troppo lunghe e troppo frequenti) ed i modi dell’esibizione stessa.
Gaga ha una bella
voce, ma decide di sacrificarla a discapito di balletti e di movenze, e
lascia troppo spazio ai ritornelli in playback (tutti!) che suscitano
molta delusione. Portano a pensare ‘ma perché non canta?’. Infatti, la parte piú bella di tutta
l’esibizione sono le due canzoni fatte al piano, con lei seduta, ferma!
Voce e accordi. Molto bello.

Il sapore che resta alla fine del concerto, é la soddisfazione di aver trovato un’artista desiderosa di dire e portare qualcosa al di lá dell’intrattenimento per se.

Ora sono sicuro che Lady Gaga sia un artista, prima di essere una cantante. Ha un messaggio ed un mezzo tutto artistico per veicolarlo.

Rimango dell’idea che portare la rivoluzione sessuale come tema del proprio lancio discografico, non sia troppo una ‘idea nuova’. Soprattutto nel 2008. Lady Gaga resta per me un grosso collage di idee appartenute o appartenenti ad altri grandi artisti. Ma almeno ora so che anche lei é concorde con questa definizione, e che c’é un’altro scopo dietro tutto questo che non sia solo vendere, anche se resta il solo mezzo attraverso cui Gaga puó farsi conoscere e quindi diffondere il suo messaggio. Qualunque esso sia.
L’auto coscienza che Lady Gaga ha nei confronti di tutto questo la pone in una condizione di vantaggio rispetto ad altri artisti. Bisgona poi vedere se questa "ammissione di colpa" verrá sfruttata ed investita nella giusta direzione, per rendere Lady Gaga unica nel suo genere e per farle fare scuola a tutti gli artisti che le succederanno.


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Lo schema del film


Mi serve un punto. Diciamo questo.

Devo costruire una situazine e devo capire dove sono nella situazione. Lo so, io non sono mente, ma mente è tutto quello che ho, al momento, per capire dove sono, visto che il sentimento mi travia. Oppure è perfettamente chiaro ma non so leggerlo, ancora (e).
Cercare di essere chiaro? Mi aspettavo di più. O mi aspettavo qualcosa di diverso.
Lo schema è questo: trappola film. Vedi un film bello, e qualcosa ti tocca dentro. Perché devono sempre toccare le cose? Non potrebbero starsene ferme al significato originario? Non posso prendere quello che il mondo vuole darmi senza essere punto?
Improvvisamente pensi che la tua vita sia invece un merda.
A questo stadio mi perdo sempre: dove sta il collegamento tra un film e il tuo disagio antropologico? In parte è il non accontentarsi di ciò che posseggo. Mi accontenterei volentieri, io. Ma non lui. Si, perchè è sempre di lui che si tratta, quell’altra cosa di me che non sa neppure che cosa vuole, ma che sa di certo che è più divertente torturare me che trovare occupazioni più costruttive.

E’ la questione di una vita. Perché è una, ed è una Vita. Se fossero diverse non mi porrei troppo il problema. O l’ansia. Cerco la felicità in picchi emotivi instabili e insicuri. Fragili e vacui. So che c’è ma so che non resterà. Fin’ora non è mai restata.
Provo l’intimo desiderio di crescere, di migliorare in tutto questo e di smettere di non sapermi accontentare. O peggio: di non sentire quello che già ho invece di inseguire. Ecco cosa faccio dunque: inseguo. Ci sarà sempre un domani che non potrò avere oggi, e questo mi basta a tenermi vivo. In piedi.
E’ tutto molto triste. Morirò correndo.
Come dare sfogo alla mia voglia di essere felice, se ogni volta il traguardo mi si sposta di qualche metro? Sarà sempre così, probabilmente. Probabilmente.

Ma il mio qui ed il mio ora sono adesso e adesso. E se adesso non torna indietro, non so come gestire quello che mi resta. Perché non mi è rimasto nulla. Solo sfogo di carta e tanta voglia di essere un film.

Misero

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Colpa

Non è molto chiaro in me, ma so che c’è e che mi guarda. Io non voglio farlo, davvero, mi sento così stupido e del tutto fuori di me quando ci penso ma non posso non sentirlo che automatiamente mi sale alla mente non appena l’occasione si presenta. Per questo cerco di evitare le situazioni che mi potrebbero mettere in una posizione simile. Lo voglio fare, sento chiaramnete una limpida e poco celata parte di me che mi dice che devo cercare a tutti i costi di arrivare in fondo, e la cosa più drammatica è che tutto il resto della mente, invece di intervenire a supporto di tesi contrarie, semplicemente di spegne. Non parla più. Io non voglio davvero! Non voglio, ma c’è ancora un principe dentro di me che mi muove, e che sono io. Se solo fossi qui (forse) ne sarei immuno. Fa male solo alla coscienza e solo al ritorno a casa.
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Assente lavoro su di me

Assente.
Ascolto il mio qui ed il mio ora.
Sfuggo la responsabilità della presenza e la baratto a peso con la prospettiva. Prometto e prometto di mantenere.
Una volta che…
quando poi…
in futuro, se…

Lo farò. Te lo prometto.Non chiedermelo di nuovo.

E c’è la stanchezza a camminarmi sulle mani. Solo la testa, muovo. Inspirare e sentire il fiato corto e storto. Per l’ennesima volta nella mia vita, non ho aria. Sono come un bambino annoiato e perso tra il verde delle cose che ci sono ed il rosso di quelle che verranno. Di quelle che si immagina.
Sono ancora abbastanza giovane da potermi permettere di morire senza gravi conseguenze.
Mai qui e mai ora, comunque. Sono ancora un pò atrove e sono ancora un pò assente.

"Perché credi di essere diventato così, Riccardo?"

"Perché mi sono innamorato di te. Mi sono ammalato, da allora. Da quel giorno non ho conosciuto ispirazione che non fosse la tua pelle o vere parole che non fossero la tua bocca. E’ che ero rotto, mi hai trovato, mi hai aperto e sorridendo mi hai riparato. E’ che ora sento di nuovo il cuore fare rumore. Ma il mio cuore non lo sa, e per questo ha paura.
Il mio cuore ha paura spesso.
Non ho altro motivo di muovermi se non per tua isola. Non ho respiro che non sia aria tua e non provo dolore che non sia per i tuoi denti. Non c’è solitudine che mi prenda che non sia la tua assenza e non ci sarà profumo con questo nome che non sia il tuo braccio. I sole si aprirà come si deve aprire perché ora so dove lo devo portare. Mi hai mostrato il volto della pazienza e della pace.
Creo per colpa tua, riverso per colpa tua e non piango per colpa tua. Sei la mia acqua la mia terra e la mia voce. Sei telmente lontano da me che sei il solo tocco che il mio cuore riuscirà mai a sentire. Sei casa, nido e basta. Basta. Sei basta.
Basta è una parola meravigliosa."

ma ti risponderò: "devo lavorare su di me".

sento che ti chiudo e torno nel bosco, senza direzione ne scopi che non siano mangiare e attendere.
Qui ed ora.

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Holding my last breath


   Sono ancora con la faccia al muro.


   Sai come funziona. Giri per la libreria di iTunes tra le tue vecchie note, e cerchi di uscire un pò dalla giornata. Andare per brani dimenticati è un’ottimo esercizio per ricordarsi come prima, "IL prima", sia molto meglio.
   Perchè prima è sempre meglio.


   Ascolto e
fuori piove. Piove sempre, fuori. La pioggia ha lo stesso effetto sui pensieri delle prime acque d’autunno sulle pietre dei rivoli secchi: i sassi divengono subito umidi e scivolosi. Così i pensieri sanno che è il momento propizio per slittare dalla testa alle dita.

Le cose a cui non prestiamo attenzione fluttuano come olio sulla superficie dell’acqua:
non saprai mai che cosa sono, ma solo che ogni tanto fanno ombra dall’alto.

   Focalizzo l’attenzione e ascolto di nuovo.
   Cerco il testo su internet.
 
   …Un calcio così assestato non lo prendevo da mesi… anni.
   Era sempre stata lì, solo che l’ho sempre sentita senza mai ascoltarla.
   Quando le parole arrivano alle orecchie, possono prendere due strade: o traboccare per inettitudine dell’udente, o colare come cera calda sotto la suola della pelle, arrivare alla vena alta del cuore e affondare dentro il ventricolo. Infarto e quindi vuoto.
   Le parole.
   Il collegamento tra il testo ed il mio sentire è oramai ineludibile. Il fiato si rompe, gli occhi si infuocano e le lacrime sgorgano come sangue da un taglio sul collo.
Le mani non possono contenere, non c’è tampone ne rimedio. E’ oltresì inutile provarci.

   "Sweet raptured light it ends here tonight"

   C’è di buono che i viaggi, se dolorosi, portano sempre qualche passo oltre alla meta auspicata: ho capito cosa può esserci dietro tutto questo, e cosa mi attenderà da qui fino alla fine dei miei giorni.
   Lo metto per iscritto?
   Separazione, distacco, strappo, lacerazione, strattone, rottura, interruzione. La mia struttura portante non è stata progettata per farsi carico di nessuno di questi sforzi.
Non so sopportare, strutturare e superare nessuna di queste cose. E perchè amo il mio carnefice, ed il mio carnefice sono io, forzo me stesso alle
interruzioni ed ai bruschi distacchi. So frustare il mio senso dell’abbandono e so esasperarlo meglio di chiunque altro.
   Poi, quando realizzo DAVVERO cosa sto facendo, quando arriva una canzone a colarmi sulla ferita, è come aprire gli occhi dopo aver camminato cieco per i cornicioni dei palazzi: sono atterrito, gelato, fermo e soffocante.
   Allora volto le spalle al buio, appoggio la testa contro il muro e mi stringo attorno ai brandelli di me.
   A quel me che so che non amo, e che amo e che non so come dirglielo.

   Piango e aspetto che passi.

   Per poi continuare il giorno dopo. Sempre sopra i tetti, e sempre ad occhi chiusi.

   Nonna io non so dove sei.

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La “Messa a Terra”


   … perchè quando usi stranieri si impossessano del tuo disordine, ci si dimentica delle vecchie cose. Come questo posto. Da me accuratamente evitato per via di noiosi ricordi che avevo deciso di tenere sotto la polvere almeno fino al mio ritorno. Ritorno?
   Ed invece sono di nuovo nel salotto della mia compassione.


Fortunatamente le melodie mi aiutano.
Ho sempre immaginato che la madre della Musica avesse un debole per il padre della Lettera.

   Ho fatto passare intere settimane convincermi che tutto era perfetto. Lavoro, lavoro lavoro lavoro orgoglio lavoro lavoro lustro lustro visibilio visibilio… ed io ero… ehm… si da qualche parte là, cmq… sono certo non abbastanza lontano da non sentire i rumori di tutto ciò che facevo.
   Sono giunto alla conclusione che spendo molto tempo nel pianificare la perfezione della mia futura vita perfetta. Da circa 12 anni. Sta diventado probabile che in questo modo la perfezione faccia in tempo a venire ed andarsene mentre la sto ancora pianificando!
   Un giorno un elettricista mi disse: "è normale essere spaventati, è una parte della sua sfera emotiva che non ha mai avuto troppa confidenza con il mondo esterno". Allora realizzai che anche se sono praticamente un genio nel maneggiare tra circuiti elettrici, dimostro
scarso giudizio nel farlo.
   E la messa a terra? "Quella cosa che si ficca al suolo per far si che nulla salti per aria in caso di un sovraccaricamento del sistema" (Wikipedia – 2007).
   Una cosa che ho sempre scordato, quella! La messa a terra serve a mantenerti saldo alla superficie del suolo, nel caso dovessi volare via. Ti SALVA.
   Le persone hanno tutti la tendenza di volare via. E tu lo sai che io ho sono più leggero degli altri, te lo ricordi? Si che te lo ricordi: "Se non mi tieni, volo via".

   Se non metto la messa a terra… BOOOOOOOM (come nei fumetti).

   Di fatti;
   poi succede che torno a casa bevuto e divertito e mettendomi nel letto dimentico di scongurare qualunque dio di tenermici senza ansie di sorta, e di farmi passare la notte senza troppe noie.
   Poi succede che ti sogno e faccio l’amore con te.
   Poi succede che mi sveglio e che non voglio ricordarlo. Non lo scrivo e non lo dico. E’ passato.

   Poi succede che apro il blog dopo mesi di silenzio, costringendomi a non voler leggere la tua pagina…
   Poi succede che nella intro mi cade l’occhio sulla parola "stoccolma". E’ rigorosamente senza la maiuscola. Ovviamente mi hai catturato di nuovo. Come non leggere?


   Forse non è giusto pensarlo, e tanto meno scriverlo. Ma… mi pensi ancora ed io penso ancora a te e non vorrei farlo perchè mi succede più spesso di quanto non vorrei… e per quanto io giri alla larga da tutto quello che sia tuo, hai ancora un posto che non vuoi liberare.
O che non voglio lasciare libero.
Sono quasi annoiato da questa cosa. E felicemente rattristato.


Dopo questo, mi faccio un pò più pena.

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PianoForte


Mani sui tasti. Compostezza nella postura e sul seggiolino. Pressione sulle tempie. Fisso il mio riflesso scomposto sul legno lucido del pianoforte.
Le sue mani sulle mie spalle. Mi sta guardando.
Sei pronto a vedere quello che farò, come mi muoverò. Cosa userò e cosa lascerò all’immaginazione. Su cosa passerò le mani e su cosa solo lo sguardo.
Che vuoi che suoni?
Ho mal di testa, sono affannato e ho dolori al petto. Sto per lacrimare e per essere assalito dall’euforia che brucerebbe tutto e non lascerebbe niente al buon gusto.
Il buon gusto…
Arriverà la quiete solo dopo che avrò suonato, vero?


Azzardo un accordo. Solo per provare. Sento del ghiaccio. Forse non andava bene…
Serro lo sguardo sulla tastiera bianca e nera e incomincio. L’inzio è dolente. Soffrono le mani, le orecchie ed il mio spirito. Poi la musica prende e va da sola.

Le mie dita sono un grezzo scalpello del quale la mia mente deve servirsi per farsi capire. Devono scolpire i tasti, smussare gli acuti, accarezzare le ottave… tutto suona così complicato e difficile… se solo la mente parlasse senza passare dal corpo.

Come si esprime un corpo?

Dalla mia testa un fluido caldo scende ed infervora il piano. Acquisto fiducia sul nulla. L’armonia diviene sempre più eufonica, i giochi di suono si fanno fini ed equilibrati, mi escono tutti rigorosamente confusi e perfetti. Le mie mani non stanno dove dovrebbero stare, ma funzionano.
Forse è sbagliato. Forse vuole che faccia diverso.

Non ragiono più. Seguo. Anzi, rincorro quello che arriva, e cerco solo di stare al passo. Mi alzo in piedi e mi chino in avanti, continuando a suonare sempre più forte. Si unisce la batteria, la trombra, i cori… Arrivano i fiati e gli archi e sono tutti nella stessa stanza.
Sudo.
Le sue mani premono sulle mie spalle… Forse la chiave della sinfonia è errata… ho perso dei passi, ho saltato delle note…?

E’ un volo.

L’aria si ferma. La stanza si riempie di un solo fiato. E con un solo fiato si svuota.
Sussulto. Capitombolo sul piano, inciampo sullo sgabello e cado con la faccia a terra. C’è la polvere, ma ha un sapore bellissimo.

Ho il fiato grosso.
La sua espressione è quella di prima. O no?

Lo guardo e penso se potrà succedere ancora.

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Il Freddo della Merla


Se le Muse fossero cemento, le Ispirazioni fossero rotaie e le Idee fossero vagoni, la stazione dei treni di Bologna sarebbe una fucina di artisti perennemente in estasi.

E’ domenica pomeriggio, l’aria è tesa e secca. Fa freddo e questo lo amo.
Sono seduto. Sono in ascolto. Sono in Viaggio.

E’ una di quelle situazioni per cui tutto passa nella tua testa e tutto giunge ad una sua destinazione. E tu chiedi: se tutto è così funzionale, corretto e stechiometricamente bilanciato, come mai è così…così…? e ringrazi per non avere parole con cui concludere la frase.

FLASH
Il concetto prede una Forma.

Ho come sorriso e ho come pianto.
Ho colto il meglio del pressapochismo occidentale e l’ho reso la mia opera d’arte migliore.
Ho visto il buono in tutto, per un attimo, l’ho visto e l’ho fotografato.

Ho visto il cielo e ci stavo volando dentro correndo a passi serrati sui bassi regolari dell’iPod.

L’istante in cui tutto assume questa forma è un momento preziosissimo: ti si sta dando la possiblità di comprendere un sacco di cose. E’ come se ti schiudessero solo per un istante la stanza delle meraviglie, dei giochi, delle bambole o i cancelli del giardino dietro la casa del vicino. E’ un posto che hai sempre visto da lontano e che hai sempre immaginato ma in cui non sei mai stato, e poche volte ne hai colto i profumi, i rumori, la cromaturgia.
E lì sospiri. Cerchi di assumere più aria possibile nelle viscere, che sai che sta già per dissolversi. I tuoi occhi si fanno lucidi per il pianto e per la purezza di quello che stai vivendo.

Ti ami per un attimo e per un attimo sai che tutto il mondo ti ama.
Per una giunzione di secondo sai pure che sei già felice. Che sei già ad un FOTTUTISSIMO PASSO dalla felicità e che lei è li che ti cammina accanto, solo che non sei ancora stato capace di stringerLe la mano per congratularti con Lei.
Abbracci tutto il mondo con un solo getto di sguardo, il tuo volto si illumina delle comprensioni più recondite e la tua mente di accende delle tue migliori memorie.
Sei ad un passo da qualunque cosa, e puoi fare qulunque cosa. Ma la puoi fare solo per una frazione di secondo.
…e l’hai già sprecata.

Poi sono sceso dal treno, ho visto tinte di bianco le sole cose rimaste immobili dall’ultima nevicata… ho lacrimato e ho dimenticato tutto.

Non avrei mai pensato che potesse essere così esplicito un cielo azzurro.

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La fila d’attesa…


E propri quando pensavo che il blocco dello scrittore mi avrebbe serrato per lungo tempo, ecco!



Capita che il Destino operi in
modi talmente ovvio e scontato da sembrarci cinico. Essenzialmente lo è,
perchè il Destino non è altro che una noiosa macchina a vapore che si
limita a far girare sempre la stessa ruota, e sempre nella stessa direzione!
Così da essere costretto ad
inventarsi le fesserie più assurde per rendere un pò più interessante e
vivace qualcosa che in verità è solo frutto di una legge naturale come
quella del Caos.

Sarà sufficiente attendere, e presto o tardi qualunque cosa, in un variare indefinito di tempo ed in modalità del tutto uniche, accadrà alla persona che vi s’è messa ad attenderla.


Non ricordo di essermi mai messo in lista d’attesa per niente, ma evidentemente il biglietto devo averlo staccato qualche anno fa, e solo ora hanno chiamato il mio numero dallo sportello.

E’ uno di quei sogni che tutti gli adolescenti hanno fatto almeno una volta nella vita. Più o meno è una favola dalla durata di poche manciate di secondi, il tempo in cui ti accorgi che sei stupido per come te la stai raccontando. Ma in quei pochi secondi, ti blocchi, ed il tuo cervello lavora incessantemente per codificare una nuova sinfonia.
La mia era il rumore di autobus che frenano e partono alla pensilina in Piazza Saffi, era il ruggire potente di tutti i coetanei che strillano le loro seghe mentali talmente forte che alla fine ci credi davvero che qualcuno di loro li stia a sentire. Era il suono acuto ed insistente che ti chiude i timpani e ti rende cieco agli altri rumori. Era il tamburo sordo dello stomaco quando cade, e del cuore quando rumba.

Aveva i capelli lunghi, era sgargiante e sicuro di se. Era chiaramente quello che volevi essere e quello che non saresti mai stato. Parlava in modo perfetto, si muoveva in modo perfetto. Aveva amici perfetti, in una perfetta giornata di scuola con perfetti jeans alla moda assicurati da una perfetta cintura in pelle marrone. Inutile dire che possedeva la rara capacità di stimolare un qualunque adolescente curioso, indeciso o frainteso a voltare la testa nella sua direzione, quel tanto che bastava da accorgesi bene che era lì, e non in una molliccia sopopera televisiva.
Chi non si è mai domandato almeno una volta nella vita: sarò mai parte anche solo per qualche istante di questa persona, maschio o femmina che sia, e farò mai parte della sua sfera di cristallo almeno per una volta. Solo una volta, solo per un secondo. Solo per uno sguardo.

Fu così che 5 anni dopo, l’infeltrito maglione lavorato a ferri n°8 ed il maglioncino collo a V di kashmir color avorio, si incontrano per due thé, due caffèlatti schiumati in bicchiere di vetro alto, due paste calde, un cappuccino e tre bicchieri d’acqua. Lui poco convinto, e lui particolarmente concitato.
Risultato? Talmente tante parole vuote che anche le poche dette con significato si annebbiavano a tal punto che neppure ne odevi più l’eco.
Crollo di un mito adolescenziale, o amara consapevolezza che la perfezione (o anche solo ciò che più gli si avvicina) è un buffo parto della nostra mente, iniettato nel circolo sanguigno alla bisogna, quando il contorno della vita si fa troppo grigio?


Nonostante la somma dia risultati negativi, è un fatto che un solo moltiplicatore possa ribaltarne il totale degli addendi. Questo meccanismo matematico sottostà ad una ben nota regola umana, tale per cui ci sarà sempre sufficiente un solo piccolo, infimo, remoto fattore a donarci la speranza che tutto ciò che abbiamo ottenuto fino ad oggi possa essere trasmutato da un momento all’altro in qualcosa di grandioso ed all’altezza delle aspettative.

Non ho ancora capito come, ma ora SO che il Destino è irrimediabilemente Ironico.

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Zapping&Nuvole

Con questo mi riprometto di ricominciare a scrivere molto presto.
Qualcuno mi ha intimato giustamente di smettere di scrivere cose compromettenti su di una piattaforma web accessibile a tutti.

Imparerò mai la lezione?

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